venerdì 30 novembre 2012

Solo da imparare


The spirit of rugby è un premio che ogni anno l'IRB, la federazione mondiale del rugby assegna a chi è riuscito a interpretare al meglio i valori di questo sport. Nel 2009 il premio andò a L'Aquila rugby, per la tenacia con cui la squadra abruzzese aiutò la città colpita dal terremoto. Città che peraltro vanta una tradizione non indifferente: un capitolo di Rugbyland sarà dedicato al mio incontro con le vecchie glorie dell'Aquila, che fra gli anni '70 e  '80 dominarono il campionato italiano.

Tornando al premio, la notizia è che federazione quest'anno ha deciso di assegnarlo a una donna. Il suo nome è Lindsay Hilton. Ed è nata senza gambe né braccia. Ma per le compagne è solo il mediano di mischia.

venerdì 16 novembre 2012

Un nuovo viaggio... dentro la palla ovale!

Domani l'Italia del rugby affronterà, in uno stadio Olimpico tutto esaurito, gli All Blacks, i maestri di questo sport. Uno sport ricco di valori, che ancora oggi è preso come esempio di correttezza, di lealtà, di unione.
Uno sport che può essere preso come modello educativo per i più giovani, ma non solo. Uno sport che però, a parte alcune storiche roccaforti, non è esploso in Italia come meriterebbe.

Se la Nazionale è arrivata alla ribalta delle cronache, è ancora sconosciuto invece tutto il sottobosco, tutti quei campi di provincia dove fra fango, freddo, nebbia (e tante botte) scorre la linfa vitale del rugby italiano.

Dopo Yugoland, viaggio alla scoperta dei Balcani, con BeccoGiallo ci siamo detti "Perchè non un altro viaggio, per scoprire questo affascinante sport?"

Sta così nascendo "Rugbyland, viaggio per l'Italia del rugby". Un percorso che vuole scoprire chi in passato ha reso celebre questo sport e chi oggi ne difende i valori.

Rugbyland, esattamente come Yugoland, è un viaggio, attraverso le città e i paesi dove questo sport è cresciuto, condito con interviste dei protagonisti del rugby italiano e gli immancabili fumetti di Gabriele Gamberini.

Vista l'occasione vi sveliamo le prime tavole in anteprima. Vi siete mai chiesti come il rugby sia arrivato in Italia?



giovedì 15 novembre 2012

Non lascio e raddoppio

Ultimamente ho aggiornato il blog un po' meno del solito. In parte è colpa delle non poche presentazioni di Yugoland, che mi hanno portato un po' ovunque in giro per l'Italia (prossimo appuntamento: mercoledì 21, a Lodi, con Luka Zanoni, direttore dell'Osservatorio Balcani Caucaso). La cosa è bella, naturalmente, perché significa che il libro è piaciuto. E poco male per il blog: per fortuna ci sono diverse persone sul web italiano che pubblicano con competenza notizie relative ai Balcani.

Però mi dispiaceva concludere l'esperienza del blog, e quindi, anche se qui si continuerà a parlare di ex Jugoslavia e vi aggiornerò sulle mie future peregrinazioni balcaniche, Yugoland diventerà un blog un più personale, che tratterà argomenti diversi.

Fra le varie cose - visto il successo di Yugoland! - lo userò come foglio degli appunti a cielo aperto per il mio nuovo lavoro, che ormai sto portando avanti con BeccoGiallo da un paio di mesi. Speriamo porti fortuna.

P.S. Di cosa si tratta? Pazientate ancora qualche ora e lo scoprirete. Intanto, volete tirare a indovinare?

mercoledì 3 ottobre 2012

Bosniaci e Bosgnacchi

Con colpevole ritardo torno a pubblicare dopo le presentazioni che in settembre mi hanno portato in giro per il nord Italia. E proprio da qui voglio partire. Mi sono infatti reso conto che spesso do per scontate cose che per i non addetti ai lavori non lo sono. Ho pensato che quindi è opportuno spiegare meglio alcune cose per rendere il mondo dei Balcani un po' più semplice da affrontare.
Parto quindi da una delle cose più complicate... la composizione etnica della Bosnia Erzegovina.

Prima cosa da sapere: la Bosnia è un paese abitato da diverse etnie, ma le principali sono tre: i serbi, che dopo la guerra vivono principalmente nella Republika Srpska (entità serba della Bosnia Erzegovina), i croati, che stanno prevalentemente nella regione dell'Erzegovina e infine i bosgnacchi. Spesso chiamiamo erroneamente bosniaci i bosgnacchi, ma con bosniaci si intende tutta la popolazione della Bosnia Erzegovina, con bosgnacco la popolazione bosniaca di religione islamica. I bosgnacchi quindi sono musulmani, ma non Musulmani. Con la maiuscola infatti si intende la nazionalità Musulmana, nazione fondante la Repubblica federale Jugoslava. E qui si aprirebbe un altro capitolo. Perché essere di nazionalità Musulmana (con la maiuscola) era differente da essere di religione musulmana. La nazionalità Musulmana era infatti stata creata e accettata da Tito fra gli anni '60 e '70 ed inserita nella costituzione jugoslava. Non era però riconosciuto il nome bosgnacco in quanto questo termine riconduce per forze a una caratteristica di tipo religioso.

giovedì 2 agosto 2012

Vado a Yugoland


No, non è uno scherzo: Yugoland esiste davvero. È un parco di divertimenti (anche se sarebbe meglio chiamarlo una "Jugoslavia in miniatura") che sta nel nord della Serbia, vicino a Subotica. Il portale Balkan Insight ci racconta che il Yugoland è in procinto di chiudere per via dei debiti accumulati dal suo proprietario. Insomma, se non avete programmato nulla per questa estate, perché non fare un salto a scoprire questo luogo prima che la jugonostalgia arruoli fra i suoi miti anche il parco Yugoland. Potreste cogliere l'occasione di visitare i monasteri di Fruska Gora, oppure, allungando un po', di sconfinare in Ungheria per ammirare il lago Balaton.

Per quanto mi riguarda anch'io sto partendo alla volta dei Balcani non jugoslavi... latiterò quindi un po' dal blog, ma mi farò perdonare al ritorno con un bel resoconto. Nel frattempo, se proprio non potete resistere, probabilmente mi lascerò andare a qualche anticipazione su Twitter

venerdì 27 luglio 2012

Breve introduzione allo scartamento bosniaco

Capita che ogni tanto qualche lettore mi scriva. La cosa mi fa un enorme piacere: oltre al confronto su questo o quell'aspetto del libro, la cosa più interessante è capire in che modo queste persone siano legate all'ex-Jugoslavia.

Che ci siano di mezzo parenti, amici, semplice e istintiva curiosità o interessi veramente specifici, le storie che mi vengono raccontate riescono sempre a colpirmi. Non ho parlato di "interessi specifici" per caso. Ho deciso infatti, in accordo con il mittente, di pubblicare un brano di una di queste mail. Davide mi parla del libro, certo, ma nel farlo mi svela anche una sua grande passione, e mi racconta cose che non sapevo, e che mi incuriosiscono, sulle ferrovie jugoslave:

[...] chi vi scrive, è stato sempre un grande appassionato di Jugoslavia; ho infatti condiviso con emozione quasi ogni riga delle vostre interviste e dei vostri resoconti che mi hanno fatto ripensare ai miei innumerevoli viaggi in queste terre che ho fatto e che spero di fare ancora. Essendo appassionato di ferrovie balcaniche volevo però farvi notare alcune cose nella speranza che possano essere corrette o aggiunte in eventuali altre ristampe del libro, oppure che siano da stimolo per osservare altri "jugo - elementi" durante le vostre prossime peregrinazioni.
A pag. 188 citate la vostra visita a Mokra Gora e dedicate due righe alla "...piccola ferrovia che passa di qui". Ebbene mi sa che in quella località avete "bucato" l'attrazione più importante e cioè non il finto "etnoparco" di Kusturica ma proprio la ferrovia stessa. I turisti stranieri ci sono, eccome, e vengono ogni anno a migliaia da mezzo mondo ma a visitare proprio la ferrovia! Quest'ultima non era una linea di importanza locale ma l'importantissima Belgrado - Sarajevo: costruita a scartamento ridotto di 760mm (conosciuto proprio come scartamento bosniaco!), per superare le montagne della zona venne realizzato un percorso molto ardito e complesso (il famoso 8 di Šargan). La linea in questione faceva parte di una fitta rete ferroviaria di circa 2000 km costruita in gran parte dall'Impero Austro-Ungarico e completata poi dal Regno e Repubblica di Jugoslavia che permetteva di viaggiare in treno senza cambi o interruzioni da Belgrado fino a Sarajevo per poi proseguire (lungo la valle della Neretva) verso la costa in direzione di Dubrovnik e Kotor. A proposito di Neretva, dovete sapere che proprio lungo questa valle il binario scendeva con un percorso mozzafiato oggi in parte sommerso dai bacini idroelettrici. Raramente ma periodicamente in seguito all'abbassamento delle acque per lavori di manutenzione ponti e gallerie riappaiono come spettri dal passato... Dopo la chiusura degli anni '70 la tratta di Mokra Gora è stata riaperta come ferrovia turistica per ricordare questa meravigliosa rete ferroviaria totalmente smantellata e gli uomini che vi hanno lavorato spesso in condizioni difficilissime. Ultimamente il binario è stato riportato fino a Višegrad ri-collegando la Bosnia con la Serbia. Aggiungo senza esagerare che la scomparsa della rete ferroviaria a scartamento ridotto in Jugoslavia tra la fine degli anni'60 e la seconda metà dei '70 rappresentò un colpo per le zone di Bosnia, Serbia e Croazia attraversate da questi binari. Le JŽ (Jugoslovenske Železnice) erano un'istituzione, la loro assenza in queste zone impoverì i territori una volta attraversati e contribuirono, nel loro piccolo, al disfacimento dell'unità nazionale in queste tormentate zone.
A pag 212 segnalo poi un errore: la ferrovia Parenzana da Trieste a Parenzo (sempre a scartamento ridotto bosniaco!) non attraversava la Val Rosandra. Quest'ultima spettacolare ferrovia (avete pubblicato una foto di una sua galleria nelle pagine 84-85) era a scartamento ordinario e collegava Trieste con Erpelle (oggi in Slovenia). Si trattava di due linee completamente diverse! Oggi sono entrambe piste ciclabili. Per sapere molto di più della storia della Bosnia - Erzegovina, attraverso le sue ferrovie, vi segnalo il bellissimo libro in lingua inglese dell'editore Stenvalls "The Narrow Gauge Railways of Bosnia - Hercegovina" di Keith Chester. Se poi passate per Trieste sarei lieto di farvi visitare il Museo Ferroviario di Trieste Campo Marzio, come detto attraverso la storia delle ferrovie è possibile capire meglio proprio un paese complesso come la Jugoslavia.

Ancora complimenti a tutti e cordiali saluti!
Davide Raseni


Non è finita qui, perché proseguendo la conversazione scopro ad esempio che...

Per la cronaca a Mokra Gora per costruire una galleria ferroviaria (poi franata) sembra siano morti, durante la Grande Guerra, un centinaio di prigionieri di guerra italiani, una notizia di cui non avevo mai sentito parlare...


Uno scambio prezioso, che non ho sentito di dover condividere. E nell'invitarvi a diventare parte della discussione utilizzando i commenti a questo post, non posso che ricordarvi anche che se avete qualcosa da raccontare sull'ex-Jugoslavia io sono qui. Sia privatamente che utilizzando, se vorrete, il blog come strumento per raggiungere più persone.

mercoledì 18 luglio 2012

Dopo il minitour...

Si è da poco concluso il mini tour di "Yugoland" nelle Marche e in Toscana, con le tappe di Perugia (Combo Art Café), Siena (Libreria LaZona) e Santa Croce sull'Arno, in provincia di Pisa (Libreria Colibrì).

Libreria Colibrì

Combo Art Cafè

Libreria LaZona
È stata una tre-giorni intensa, segnata dal gran caldo, da accoglienze entusiastiche (non ringrazierò mai abbastanza gli organizzatori per il loro calore e il loro interesse) e incontri professionali inattesi e interessanti, come quelli che mi hanno portato a un'infinita serie di interviste radiofoniche, spesso in situazioni a dir poco rocambolesche: come questa, ai margini di una superstrada trasformata in una discarica a cielo aperto...


Qui, invece, potete ascoltare forse l'intervista più significativa, quella con Federico Taddia a "L'altra Europa", programma molto seguito (e interessante in egual misura) di Radio24.

Io e Gabriele Gamberini (che per l'occasione ci ha regalato una splendida installazione semovibile della copertina del libro!) abbiamo potuto toccare con mano quanto l'interesse nei confronti dei Balcani sia ancora vivo e diffuso in tutta la penisola. Ma ci ha dato modo anche di confrontarci con persone che avevano già letto il libro, ed erano venute per discutere dal vivo su "tematiche balcaniche". Ne sono nati discorsi interessanti, sui contenuti del nostro lavoro e sullo strano mix di cui è composto. Forse è stata questa la cosa più piacevole: scoprire come l'esperimento di intersecare testo, fumetto, foto e disegni sia generalmente piaciuto parecchio.

E non è finita qui. A fine agosto, infatti, le presentazioni riprendono. Posso già anticiparvi una data a Fano il 31 agosto e una nel torinese il 14 settembre, oltre a un salto a Lodi in periodo da definire. Con la promessa, come al solito, di cercare di fornirvi tutti i dettagli per tempo.

mercoledì 11 luglio 2012

Il rischio di Srebrenica

Ogni anno in luglio sulle home page dei giornali e sulla bacheche di Facebook tutti si ricordano della Bosnia-Erzegovina e del drammatico eccidio di Srebrenica. Un doveroso esercizio di memoria: ricordare le migliaia di vittime innocenti massacrate nel luglio di 17 anni fa. Il più grave eccidio avvenuto su suolo europeo dopo la seconda guerra mondiale.

Ricordare: un gesto necessario. Ma che rischia di covare con sé dei rischi. La guerra in Jugoslavia è per l'Europa un grande rimosso. Parlare di Srebrenica non può diventare un modo di continuare a non parlare di tutto ciò che fu la guerra in ex Jugoslavia.

Troppo spesso infatti ci siano girati dall'altra parte. Lo abbiamo fatto a Vukovar. Durante l'operazione Tempesta. O con i Cancellati sloveni, che forse solo ora, dopo vent'anni, ottengono giustizia... Parlare di Srebrenica per non affrontare le proprie colpe non è un buon modo per evitare che in futuro riappaiano nuove Srebrenica.

martedì 26 giugno 2012

Tutto in 24 ore

Pausa di riflessione a Medjugorie.
Le date spesso sono simboliche. E per la storia della Jugoslavia lo sono ancora di più. È per questo che all'interno di "Yugoland, in viaggio per i Balcani" ho voluto intitolare il capitolo su Belgrado "Tutto in 24 ore". Fra le varie cose volevo evidenziare una certa simbologia nelle ricorrenze che hanno fatto nel bene e nel male la storia della Jugoslavia. Fra il 27 e il 28 giugno accadono infatti alcune cose che si trascinano dietro una inesauribile serie di conseguenze.

Il 27 giugno del 1991, ad esempio, è il giorno dell'inizio della guerra fra Serbia e Slovenia, ma è il 28 giugno il giorno cruciale. Tutto parte dal lontano 1389, quando l'esercito serbo venne sconfitto dall'esercito ottomano nella battaglia del Kosovo che permise ai turchi di conquistare i Balcani e amministrarli per ben cinque secoli. E siccome i serbi hanno vissuto questa battaglia non come una sconfitta, ma come un sacrificio, sono soliti celebrarla. Ed è proprio per questo motivo che il 28 giugno del 1914 Gavrilo Princip spara a Francesco Ferdinando. Doveva servire una data speciale come momento di riscatto. E la stessa cosa successe il 28 giugno del 1989, anche se con motivazioni politiche diverse, perché il nazionalismo come ideologia cambiò profondamente nel corso del '900. Fu il momento in cui Slobodan Milosevic divenne il leader del nazionalismo serbo. Era stato mandato in Kosovo per calmare la minoranza serba, in tensione con la popolazione albanese, proprio nel seicentesimo anniversario della battaglia del Kosovo. Suona quindi come una vendetta il fatto che Milosevic venga consegnato all'Onu il 28 giugno del 2001. Come a dire: chiudiamo i conti del passato?

Ma fine giugno è un periodo fitto di ricorrenze per la storia della Jugoslavia, non solo per quanto detto fin qui. Il 25 giugno del 1991, infatti, Croazia e Slovenia dichiarano la loro indipendenza. E il 25 giugno del 1981 in un paesino della Bosnia la Madonna apparve ad alcuni pastorelli. Quel paesino diventò famoso col passare del tempo: il suo nome era Medjugorie.

martedì 19 giugno 2012

Viaggio nella follia di Kusturica

Il ponte sulla Drina
È forse il bosniaco più famoso al mondo. Ma non dategli del bosniaco, perché ha scelto di naturalizzarsi serbo. Si chiama Emir Kusturica. Ma non chiamatelo Emir: ha deciso di battezzarsi con rito ortodosso e chiamarsi Nemanja, tradizionale nome serbo ortodosso.
Pare che ora Kusturica, di mestiere regista, ne abbia combinata un'altra delle sue. Non contento di suonare nella rock band No smoking Orkestra, sfruttando la sua fama da cineasta più che le sue doti musicali e cantando canzoni dedicate a Radovan Karadzic, uno dei principali responsabili dei crimini commessi durante la guerra in Bosnia, l'allegro cineasta sta pure riuscendo a distruggere pure il patrimonio artistico di quello che fu il suo ex Paese.

L'inneffabile Emir infatti, che ama indossare magliette di Che Guevara mentre inneggia all'estremismo nazionalista, si è messo in testa di girare un film tratto dal romanzo Il ponte sulla Drina del premio Nobel Ivo Andric.

Per costruire il set, l'impeccabile musicista ha deciso che valeva la pena prendere a prestito alcune pietre antiche di Trebinje (cittadina del sud della Bosnia Erzegovina) distruggendo così un'antica fortezza austriaca. E così, mentre Kusturica, in accordo col Presidente della Republika Srpska Milorad Dodik, portava i reperti sul set di Visegrad, serbi, croati e bosgnacchi si sono uniti contro questo sopruso senza alcuna distinzione etnica.

E dunque, mentre il nazionalismo di Kusturica cerca di dividere le popolazioni, le sue azioni poco ponderate uniscono le etnie.

Ah, c'è poi il film. Chissà come sarà. Chissà se nella sua follia Kusturica saprà trovare un filo di genialità, o, come dice Slavoj Zizek,continuerà a girare film sfruttando in maniera semplicista i luoghi comuni dei Balcani.

martedì 12 giugno 2012

Fra cascate di fiumi e cascate nei fiumi

Se avete voglia di visitare una Bosnia diversa di quella delle cartoline del ponte di Mostar e delle moschee di Sarajevo non posso che consigliarvi una gita a Bihac. Bihac è una cittadina che sta nella punta nord ovest della Bosnia. Non ha nulla di particolare se non fosse che si trova lunga il fiume Una. E che cos'ha il fiume Una di così particolare direte voi? la risposta è semplice: è un ottimo posto dove fare rafting. Cascate più o meno ripide si susseguono per chilometri e chilometri e a Bihac hanno capito come rendere fruttifero queste meraviglie della natura.

Dopo una gita in gommone dove sicuramente finirete nelle gelide acque del fiume Una, che scorre in un luogo magico, tutelato da due grandi montagne che le fanno da argini, per rilassarvi dopo la botta di adrenalina potete andare a visitare le vicine cascate di Martin Brod. Se riuscite andata alla ricerca di questa fantastica lavatrice ecologica: un anziano signore di Martin Brod la utilizza per lavare i propri panni e senza usare detersivo e elettricità... e i risultati sono perfetti!

martedì 5 giugno 2012

Giugno a... YUGOLAND (e Trieste)


Nonostante l'uscita ufficiale sia prevista per domani (segnalatemi pure eventuali problemi a reperirlo), il buon editore ha già reso disponibile il libro dal suo store online, e l'ha pure scontato del 25% per tutto il mese di giugno. Grazie editore.
Se invece siete di Trieste e dintorni vi aspetto venerdì dalle 18 alla libreria Lovat, per una classica presentazione condita come al solito da strane biciclette a emissioni zero, deviazioni sull'eno-gastronomia e quant'altro. La vicinanza con l'oggetto principale della discussione ci aiuterà senz'altro.

lunedì 4 giugno 2012

In Montenegro s'infiamma la protesta

La sua moneta è l'Euro, ma non fa parte dell'Unione Europea. Basti questo a descrivere quanto sia particolare la situazione politica del Montenegro. Separatosi dalla Serbia con un referendum nel 2006, il Montenegro è una piccola repubblica balcanica che conta meno di settecentomila abitanti. Le sue coste da sogno in questi anni non si sono limitate ad attrarre turisti, ma anche corruzione e denaro sporco. Ma in un momento particolarmente turbolento sembra che i cittadini montenegrini abbiano alzato la testa e si siano messi a combattere la corruzione. Candidato all'ingresso nell'Ue, la lotta alla corruzione è diventata ormai un necessità impellente per il Paese.

Proprio per questo i cittadini sono scesi nella capitale Podgorica per chiedere un cambiamento profondo del Paese. Protestano contro il primo ministro Igor Lukšić e il suo governo. Il volto della protesta è quello della giovane Vanja Ćalović, leader della ONG MANS, oggi fra i personaggi pubblici più amati del paese. Capeggia una protesta animata da associazioni, sindacati, studenti.

In un paese dove la speculazione edilizia la fa da padrona e dove l'attrazione di capitali esteri di dubbia provenienza sembra la norma, un risveglio della società civile non può che essere visto come una buona notizia.

Montenegro

venerdì 25 maggio 2012

La copertina di YUGOLAND!

Nel giorno in cui la Jugoslavia si ferma per festeggiare il compleanno di Tito (nato in realtà l'8 maggio, ma non sottilizziamo), a lavorare ci pensiamo noi. Ecco a voi la copertina un po' jugonostalgica ma non troppo di "YUGOLAND, in viaggio per i Balcani", il libro dedicato alle mie peregrinazioni, che "incidentalmente" dà anche il nome a questo blog. Che ve ne pare?


Lo troverete in libreria dal 6 giugno, un po' prima nello store dell'editore. Nel frattempo cercherò anche di segnalarvi tempestivamente presentazioni e ogni altra iniziativa (cene, bevute, concertini) legata al libro. Non mollatemi sul più bello!

mercoledì 16 maggio 2012

La Bosnia oltre Mladic

Inizia oggi il processo a Ratko Mladic, il capo militare dell'esercito della Repubblica Serbia di Bosnia, responsabile dell'eccidio di Srebrenica, il peggior massacro avvenuto in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Verrà processato al Tribunale internazionale dell'Aja, istituito dalle Nazioni Unite per giudicare i crimini avvenuti durante la guerra in ex Jugoslavia. L'Onu cerca quindi di ristabilire quella giustizia che negli anni Novanta non fu di fatto capace di custodire, partendo proprio da Srebrenica, zona di sicurezza che i caschi blu olandesi non riuscirono a difendere. Ci si augura che finalmente si faccia giustizia. Ma non ci si può scordare che oggi la Bosnia è un paese dimenticato dalla comunità internazionale, e vive ancora in pieno il dopoguerra. Per farla rivivere non basterà processare i responsabili di Srebrenica: bisognerà fare i conti anche con chi oggi vuole che gli accordi bellici di Dayton siano, quasi vent'anni dopo, un architrave istituzionale su cui costruire uno stato.

Perché infatti su quegli accordi non è stato costruito nulla. Dayton serviva per fermare la guerra, diventata ormai un'immagine troppo violenta per essere sopportata dall'Europa. Temo che processare Mladic purtroppo servirà a poco, se insieme - oltre al ponte di Mostar che è tornato a riempire le cartoline - non si ripristineranno le strade al suo fianco, che restano piene di macerie. A testimonianza di cosa sia oggi davvero la Bosnia.

venerdì 4 maggio 2012

Druze Tito mi ti se kunemo (?)



Il 4 maggio del 1980 moriva l'uomo che fece la Jugoslavia: Josip Broz, noto al nome col nome di Tito. A Spalato si stava giocando uno dei grandi classici del calcio jugoslavo: Hajuduk Spalato contro Stella Rossa di Belgrado. La notizia fu sconvolgente. La partita si fermò per il canonico minuto di silenzio: le facce dei giocatori e degli arbitri sconvolte, più di qualcuno non trattiene le lacrime. Dal pubblico si alzò un coro, a tifoserie unite: Druže Tito, mi ti se kunemo / da sa tvoga puta ne skrenemo! "Compagno Tito, non ti tradiremo, dalla tua strada non devieremo."

Eppure la storia andò diversamente. Esattamente dieci anni dopo, nel giugno del 1990, fu un'altra partita di calcio a segnare la fine della Jugoslavia: Dinamo Zagabria contro Stella Rossa. Si era appena votato nella repubblica jugoslava di Croazia, con esiti favorevoli ai nazionalisti. Quella volta il calcio non servì per unire, ma per dividere. Perfino un giocatore come Boban prese a calci un poliziotto, gesto che gli impedì di partecipare ai mondiali degli anni '90 con la maglia della nazionale jugoslava. Ma in fondo, forse, la Jugoslavia era già finita.

venerdì 27 aprile 2012

Yugoland su Pinterest

Il fatto che le storie si possano raccontare anche per immagini è un po' il concetto alla base dello YUGOLAND-libro (del quale riparleremo a breve). Un concetto alla base anche dell'intero progetto editoriale di BeccoGiallo, che la forza delle immagini la usa da sempre per approfondire e ricordare cose che non dovrebbero essere messe da parte. Proprio per questo non potevamo trascurare la nuova sensazione in campo social, quel Pinterest che proprio sulle immagini basa il suo successo. O meglio, potevamo trascurarlo, ma gli ordini dall'alto non si discutono... Scherzi a parte, l'esperienza è a dir poco stimolante, e posso affrontarla per una volta in compagnia. La board YUGOLAND è infatti aperta ai contributi di chiunque voglia condividere le sue Yugo-esperienze in questo modo un po' particolare. Non male, questo Pinterest!

martedì 24 aprile 2012

Un caso di Resistenza? il Feral Tribune

Si sa: le brutte storie acquisiscono spesso più fama di quelle positive. E così è stato anche per la guerra in Jugoslavia. Anche se non tutti si sono schierati subito dalla parte dei nazionalismi di diversa matrice. Uno degli esempi resistenti più virtuosi è sicuramente il Feral Tribune, giornale croato nato negli anni Ottanta nell'ambiente universitario spalatino per sbeffeggiare il Potere e chiedere maggiore libertà, e diventato con il tempo la principale voce indipendente di tutta la Croazia. Nato come giornale satirico, durante la guerra il Feral Tribune, con i suoi inviati al fronte sempre più numerosi, è diventato giorno dopo giorno più stimato e autorevole, puntando sulla cronaca e raccontando le violenze della guerra indipendentemente dall'etnia dei responsabili.

Questa indipendenza è costata cara al Feral Tribune: nel 2008, nonostante vendesse attorno alle quattordicimila copie (un'ottima tiratura per un paese piccolo come la Croazia), per il giornale fu di fatto impossibile attingere alla pubblicità a causa dell'ostracismo che il mondo politico croato cominciò a creare attorno alla testata. Fu così costretto a chiudere, nonostante godesse ancora di ottima salute, come mi ha raccontato uno dei suoi fondatori, Predrag Lucić, al tavolo di bar di Spalato.

venerdì 13 aprile 2012

Scrivilo tu, no?

Dovevo averli proprio stressati tanto, quelli che poi sarebbero diventati i miei editori. Eravamo soliti vederci all'ora dell'aperitivo, a Padova, in quella che è tuttora la loro principale attività di svago: scoprire vini nuovi, di enoteca in enoteca. Intendiamoci: loro la prendono come una cosa seria, quasi un secondo mestiere, mentre io continuavo a distrarli con la storia che in occasione dei vent'anni dall'inizio della guerra che avrebbe portato alla disgregazione della Jugoslavia avrebbero dovuto pensare a un libro che parlava dei nostri vicini di casa. Nei Balcani c'ero già stato e avevo già scoperto qualcosa, ma non ero un esperto. Sta di fatto che - probabilmente per farmi stare buono e gustarsi qualche nuovo vino non filtrato dai colori improbabili - mi dissero: "Scrivilo tu, no? E parti in bicicletta, se puoi, che la cosa così si fa un po' più interessante."
La prima proposta, che era già abbastanza folle, la accettai. La seconda venne declinata: era gennaio, e affrontare i Balcani innevati in bicicletta forse era un po' esagerato.

Poi un giorno partii sul serio. Tirammo dentro al progetto il disegnatore Gabriele Gamberini, già autore per BeccoGiallo nel progetto Dossier G8 - la scuola Diaz, e ormai "cittadino" di Sarajevo. Poi il progetto rallentò inesorabilmente: lavoravo pur sempre per Legambiente, e il referendum contro il nucleare compromise la mia attività di pseudo-scrittore. Ma il ritardo era giustificato, e - vista la causa - l'editore non solo comprendeva, ma soffiava nelle vele che avrebbero portato i sì a trionfare con una nuova edizione di "Chernobyl, di cosa sono fatte le nuvole", presentandolo (spesso con il sottoscritto) a ogni occasione buona.

Oggi, dopo più di un anno, il lavoro è quasi finito. Se sarà un buon lavoro lo giudicherete voi (che i disegni mi sembrano bellissimi ve lo posso dire fin da subito, visto che non sono opera mia). Io vi posso dire che ho scoperto luoghi fantastici e personaggi notevoli, ottime grappe, cibi sfiziosi e qualche vino curioso (naturalmente troppo pochi, secondo l'editore) e soprattutto una storia decisamente diversa da quella che ufficiale.
Spero di essere riuscito a raccontarvi tutto nel migliore dei modi, e senza annoiarvi troppo!

giovedì 5 aprile 2012

Per un pugno di carne (in scatola): 20 anni fa, a Sarajevo

L'assedio di Sarajevo cominciava vent'anni fa, fra il silenzio del Mondo e dell'Europa. Questo silenzio se lo ricordano bene i cittadini di Sarajevo: oggi è condensato in un monumento, una scultura di poco più di due metri nascosta in una piccola piazza dietro al museo della guerra. Rappresenta una scatola di cibo, come quelle inviate dal Mondo ai cittadini assediati, sotto la rassicurante definizione di "aiuti umanitari". Sulla base una firma, pregna di sarcasmo: "La riconoscente cittadinanza di Sarajevo." Come a dire: grazie per tutto quelle che non avete fatto, grazie per non aver difeso una città patrimonio del mondo, grazie per aver chiuso gli occhi quando le certezze di un secolo crollavano insieme alla Jugoslavia.
Di tutto questo la guerra in Bosnia ne è simbolo. Ed è ancora di più l'assedio di Sarajevo: 1.425 interminabili giorni. Terra della convivenza multireligiosa prima, e poi emblema dell'odio etnico, assediata dai serbi ma che vantava il generale serbo Jovan Divjak come primo fra i suoi difensori, laica e capitale dell'Islam. La città che in dieci anni è stata sempre al centro della scena: prima per le olimpiadi invernali, poi perché da quelle stesse montagne i cecchini sparavano ai cittadini inermi. E mentre la Biblioteca Nazionale Bosniaca bruciava, deliberatamente colpita dall'odio etnico, le democrazie di tutto il mondo manifestavano la loro impotenza. 

La Germania e il Vaticano, solerte nel sostegno alle terre cattoliche di Slovenia e Croazia. La Francia, che oltre a una passeggiata del Presidente Mitterand nel centro di Sarajevo non fu capace di altro. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, capaci di esportare la democrazia negli angoli più remoti del pianeta ma inerte quando si trattava di difenderla a due passi da casa. L'Olanda, mentre il suo esercito guardava distratto quello che succedeva a Srebrenica sancendo l'impossibilità delle Nazioni Uniti di fare quello per cui erano nate, ovvero "salvare le future generazioni dal flagello della guerra".

La guerra ci fu. E fa strano che oggi a criticarla siano proprio quelli che l'hanno combattuta. In questi giorni, infatti, ex soldati serbi, bosgnacchi e croati si sono ritrovati tutti assieme, ormai alleati, a protestare di fronte al Parlamento bosniaco per chiedere il diritto alla pensione. Nella loro protesta si legge l'amarezza di chi, vent'anni dopo, ha scoperto di essere stato ingannato da coloro che, nascondendosi dietro la bandiera del nazionalismo, non hanno fatto altro che conquistarsi frammenti di potere a discapito della gente comune. Croati, serbi o musulmani.

martedì 3 aprile 2012

L'Istria è (anche) terra di Vino

L'Istria non è famosa solo per le belle coste e le colline dell'entroterra, ma anche per il buon vino. Senza dubbio il più noto dei vini istriani è la Malvasia, da servire a mio parere fresca con un piatto di pesce possibilmente appena pescato. Ma piano piano stanno salendo (risalendo?) alla ribalta anche altri vitigni tipici di questa penisola: come il Refosco (in foto vinificato rosé), il Moscato e il Terrano, che come dice il nome affonda le sue radici nella cultura contadina locale. Ma a farsi spazio (anche qui) sono vini a vocazione più "internazionale", come Cabernet e Syrah. I prezzi tendenzialmente più bassi dei vini italiani nonostante una buona qualità permettono ai viticoltori istriani di trovare sbocchi di mercato in Austria e Germani, oltre ovviamente a soddisfare il consumo locale, che si impenna in estate con l'arrivo in massa di turisti da tutta Europa.

Se siete curiosi di scoprire al meglio le qualità enologiche dell'Istria prossimamente ci saranno due eventi che fanno al caso vostro: la degustazione di vini dell'Istria centrale a Gracisce e la fiera di vini "Vinistra", ormai di richiamo internazionale, che si svolge a Parenzo dal 11 al 13 maggio. Insomma, cosa aspettate? Io ci sarò di sicuro!

mercoledì 28 marzo 2012

In vacanza a Ohrid

Se vi piace andare in vacanza al lago, un posto che non potete perdervi è la cittadina di Ohrid, posta sull'omonimo lago al confine fra Macedonia e Albania. Ohrid dista solo due ore da Skopije: sarà per questo che in estate la popolazione della capitale macedone sembra spostarsi in massa in questa piccola cittadina. Piccola però densa di storia. Fu città episcopale e sede di un importante scuola letteraria: sembra che il cirillico sia stato riformato proprio da San Clemente di Ocrida (versione italiana di Ohrid) che modificò l'alfabeto glaolitico inventato da Cirillo e Metodio. La storia di Ohrid si respira nelle sue strade del centro, dove fra una chiesa e una moschea si comprende l'importanza che questo borgo assunse nel medioevo. Se decidete di visitare Ohrid durante l'alta stagione sappiate però che, vista la ressa, le piccole strade del centro poco si prestanno alle passeggiate. Meglio quattro passi sul lungo-lago, dove ci si può anche permettere un bagno rinfrsescante, prima di una serata nella movida macedone.

Se invece preferite la bassa stagione, allora un'ottima occasione è visitare Ohrid nel periodo del carnevale di Vevcani, una cittadina poco distante dal lago. Buon divertimento!

mercoledì 14 marzo 2012

Sopravvivere a Guča

Se volete testare quanto il vostro fisico può sopportare condizioni estreme, ebbene dovete andare a Guča. Guča è un piccolossimo villaggio della Serbia centrale, non troppo distante dal confine bosniaco.

Qui, da oltre 50 anni, si svolge quello che è probabilmente il più importante festival di ottoni, attraverso il quale Boban Markovič ha conquistato la scena mondiale.
Si tratta di un vero è proprio concorso per bande di trombe e affini: ma attorno alla kermesse officiale è cresciuto, col passare degli anni, un vero e proprio raduno che vede appassionati raggiungere la Serbia da tutta Europa.

Chiariamo sin da subito: Guča non è un posto per palati raffinati. Si è praticamente costretti a dormire in tenda con decibel che raggiungono livelli sconosciuti, il miglior bagno a cui si può accedere è una latrina zeppa di mosche, le dosi di carne e šlivovica creano shock anche alle bocche meno delicate.
Ma se ci si ferma una, massimo due notti, ci si diverte davvero. Le bande di zingari che provengono da tutta Europa riempiono le strade del paese con le vibrazioni delle loro trombe: migliaia di persone le assecondano ballando per tutta la notte.





















A Guča però vi capiterà di vedere un sacco di persone con un cappello verde militare: il cappello dei cetnici, i nazionalisti serbi. È il prezzo che ha pagato il festival dopo le guerre balcaniche: ora qui il nazionalismo, a differenza dell'Exit Festival di Novi Sad, la fa da padrone. Per carità, i turisti son ben visti (anche se può capitare che qualcuno vi rimproveri perchè state bevendo birra montenegrina in Serbia), e la maggior parte della gente è accogliente (sono molte le persone, soprattutto straniere che indossano il cappello senza sapere di cosa si tratti, indossandolo come un semplice indumento folkloristico).

Certo però che se le bancarelle evitassero di vendere le magliette recanti la scritta "Mladić eroe" ci si potrebbe godere la musica più a cuor leggero.


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mercoledì 7 marzo 2012

Lo Yugobasket / 2

Nel precedente post sul basket in Jugoslavia concludevo spiegando come secondo Sergio Tavčar, nota voce di Tele Capodistria, il maggior rischio per il basket jugoslavo fosse quello "dell'americanizzazione" (che ha già condannato l'Italia). Che cosa vuol dire americanizzarsi lo si può capire forse da soli, ed è qualcosa di applicabile a tutti i campi della vita. Ma nello sport questa cosa si capisce forse meglio.
Fra i suoi aneddoti Tavčar raccontava di quando a inizio partita vide una squadra fare un gioco spettacolare, finire l'azione con una schiacciata ed esultare come cretini. Nell'azione seguente, la squadra avversaria crea un'azione diligente, un tiro semplice, e il marcatore, alzando le dita, avverte: guardate che siamo due a due.
L'americanizzazione, detta in altri termini, è lo strapotere dell'immagine sulla sostanza. Nell'NBA, spiega Tavčar, si possono vedere giocatori esultare per una schiacciata anche se la propria squadra è sotto di venti punti. E per la stessa ragione è ormai impossibile vedere un giocatore mirare al tabellone, anche se questo rende più semplice fare canestro.
Questo tipo di impostazione diventa letale per lo sport: l'estrema spettacolarizzazione rischia di trasformare ciò che conosciamo in qualcosa di diverso. E' il caso della lotta libera e della lotta greco-romana: relegate ormai a sport di quarto ordine mentre la versione finta e spettacolarizzata, cioè il wrestling, dilaga in TV.
Le squadre dell'ex Jugoslavia riusciranno a mantenere la loro forza solo se resteranno immuni da questa filosofia, dando spazio al loro spirito balcanico, irruento, genialoide, grezzo. Ma soprattutto, autentico e sincero.

P.S. Nella foto: Mirza Delibasic, talento jugoslavo degli anni Ottanta.

lunedì 27 febbraio 2012

Da Rocky a Chuck Norris

Non vi sarà sfuggita la notizia: in un paesino della Slovacchia i cittadini hanno votato per far sì che un ponte della località venisse dedicato a Chuck Norris. La storia è alquanto bizzarra, e in realtà si tratta di una tendenza inaugurata qualche anno fa a Mostar, dove venne costruita una statua a Bruce Lee, per molti simbolo di giustizia.

La statua fu subito presa di mira dal nazionalismo croato, ma l'idea di dedicare delle statue a personaggi del cinema si diffuse nell'area balcanica. E così a Zitiste, nel nord della Serbia, a qualcuno venne in mente una strana idea. Quale poteva essere un personaggio vincente che sarebbe stato da esempio per la comunità locale nella lotta contro l'imperante crisi economica?
Non poteva che essere lui, il simbolo cinematografico del reaganismo: Rocky Balboa. E così una statua venne innalzata in onore dello stallone italiano. La politica non centra nulla, dicono i cittadini locali che mi è capitato di incontrare pochi mesi fa: non abbiamo scelto Rocky perché è colui che ha sconfitto il sovietico Ivan Drago. Lo abbiamo scelto solo perché è un vincente.

Sarà... in ogni caso se state girando per il nord della Serbia e vi trovate una statua di Rocky esultante, nessuna paura, non siete finiti per errore a Philadelphia, e quelli impazziti non siete voi.

P.S. vista la notiziona di cronaca non ho resistito e ho rinviato di qualche giorno il secondo post sul basket... stay tuned!

venerdì 24 febbraio 2012

Lo Yugobasket / 1

Un paio di settimane fa Sergio Tavčar, indimenticabile cronista sportivo di TV Koper Capodistria, è passato a Padova per presentare il suo libro La Jugoslavia, il basket e un telecronista. Tavcar è un nome notissimo fra gli appassionati di pallacanestro: in molti sono cresciuti seguendo le sue mitiche telecronache. E credo che senza parlare di basket sia difficile capire davvero la Jugoslavia. Pensate che una volta ho sentito raccontare una barzelletta: "Sai chi ha voluto la guerra in Jugoslavia? Gli Usa, altrimenti non avrebbero mai più vinto un mondiale di basket."
Tavčar, che è persona intelligente, questa cosa la spiega alla perfezione, grazie anche alle mille sfaccettature che lo caratterizzano: tifoso della Jugoslavia ma sloveno di nazionalità, abitante di Trieste ma critico con la sua città, madrelingua sloveno ma diffidente nei confronti degli abitanti di Lubiana. La sua dote più grande però è spiegare lo sport senza limitarsi alle analisi tecniche, mettendolo in relazione con lo spirito di un popolo: la Jugoslavia era una squadra di assoluto livello perché giocava alla sua maniera, cioè balcanica. Ed è proprio il motivo per cui oggi la Spagna è lo squadrone che è: perché continua a giocare alla spagnola. L'Italia, pur ricca di stelle NBA, ha smarrito la bussola e gioca all'americana... e i risultati si vedono!

Qual è oggi, secondo Tavčar, la squadra che ha mantenuto di più lo "spirito balcanico" della grande Jugoslavia? La Macedonia, che pur avendo cinque-giocatori-cinque agli ultimi Europei è riuscita a fare faville. Il Montenegro resiste, ma avendo pochissimi abitanti fatica. La Serbia mantiene un buon vivaio, mentre la Bosnia è divisa da troppi nazionalismi. Croazia e Slovenia stanno invece perdendo la loro anima. Si stanno americanizzando, proprio come l'Italia.
Ma cosa vuol dire "americanizzarsi"? Questo lo scopriremo nel prossimo post.

P.S. Nella foto, per chi non segue il basket, Vlade Divac e Drazen Petrovic. La loro indimenticabile storia è stata raccontata di recente in un simpatico documentario.

sabato 18 febbraio 2012

Altro che xilofono giocattolo


Avete visto l'altra sera Goran Bregovic a Sanremo a suonare (?) una versione balcanizzata di Romagna mia? Ecco, giusto per farvi capire cosa faceva quasi 40 anni fa, guardate il video qui sopra. All'epoca era leader dei Bijelo Dugme, gruppo rock esistente fino al 1989. I Bijelo Dugme sono stati un vero cult in tutta la Jugoslavia, con 6 milioni di dischi venduti. Il loro successo maggiore è probabilmente Djurdjendan, versione rock della notissima canzone zingara Ederlezi, dedicata alla festività di San Giorgio di maggio, resa famosa in Italia dai CSI.

In molti rimproverano a Bregovic (soprattutto in Serbia, paese adottivo scelto da Bregovic nato a Sarajevo) proprio questo attingere alle musiche tradizionali per raggiungere il successo internazionale. Più volte mi è capitato di sentire persone che definivano Bregovic un ladro che "si è arricchito con le canzoni di tutti". Il che è anche un po' ingeneroso, perché quantomeno il merito del musicista serbo-bosniaco è quello di aver reso famosa la musica balcanica nel mondo. Poi è vero che ormai troppo spesso si adagia sugli allori: vedi appunto Sanremo, dove si è limitato a dare due colpi a uno xilofono giocattolo. Però è soprattutto grazie a lui se in molti nel mondo conoscono la musica balcanica. Certo, se poi la si ascolta in loco, è tutta un'altra cosa...


giovedì 16 febbraio 2012

99,74% di guai

Non aveva nessuna rilevanza giuridica il referendum che è stato votato fra il 14 e il 15 febbraio dalla popolazione serba nei comuni del Nord del Kossovo. Eppure a votare sono andate ben 26.000 persone su 35.000 aventi diritto. Secca la domanda posta : “Accettate le istituzioni della cosiddetta repubblica del Kossovo insediata a Pristina?” L'esito era scontato: il 99,74% ha infatti detto no. Un plebiscito che si può spiegare solo osservando la complessa situazione politica che caratterizza da sempre il Kossovo: provincia a maggioranza albanese dotata di autonomia durante l'esistenza della Jugoslavia, stretta poi da una pressante sottomissione serba fino ai bombardamenti su Belgrado del '99, per arrivare infine alla dichiarazione d'indipendenza unilaterale del 2008, il Kossovo è sempre stato un simbolo per i nazionalisti serbi. A partire dalla cosiddetta battaglia del Kossovo (altrimenti detta battaglia della piana dei Merli) del 1389, quando l'esercito serbo, guidato dal principe Lazar, venne sconfitto dagli ottomani consegnando così la penisola balcanica a secoli di dominio turco.

Il valore del Kossovo per i serbi è amplificato dalla presenza di importanti monasteri ortodossi: non deve quindi stupire che i primi focolai che portarono alla guerra in ex-Jugoslavia scoppiarono proprio qui. Nel 1989, un nazionalista serbo che divenne poi tristemente famoso, Slobodan Miloševic, si recò in Kossovo per alimentare l'odio etnico verso gli albanesi, proprio nel 600esimo anniversario della battaglia. Fu l'inizio della fine.

La zona è dunque sempre stata molto calda e il referendum di questi giorni non può che scaldarla ulteriormente: non avendo nessuno valore legale, la votazione assume un chiaro valore politico. Un messaggio che i nazionalisti serbi lanciano verso chi vuole pacificare la zona. Il Parlamento del Kossovo ha ritentuto la consultazione “illegale e anticostituzionale”. Persino la Serbia, a cui L'Unione Europea ha raccomandato di migliorare i rapporti diplomatici con Pristina, non ha gradito il referendum. L'ingresso nell'Ue è per la Serbia la direzione da seguire, tanto da aver – negli ultimi anni – catturato e consegnato tutti i criminali di guerra, last but not least Ratko Mladic, il responsabile dell'eccidio di Srebrenica. La Serbia sa bene che chiudere i conti con il proprio passato è l'unico modo per farsi accettare da Bruxells e i segnali che arrivano dal Kossovo non sono che bastoni fra le ruote per Belgrado, tanto che il Presidente serbo Boris Tadic aveva definito il referendum inutile e dannoso, soprattutto in vista del vertice europeo di inizio marzo, dove alla Serbia potrebbe venir concesso lo status di paese candidato all'ingresso nell'UE.

Pubblicato originariamente su www.anordestdiche.com


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mercoledì 15 febbraio 2012

Meglio tardi che mai

Ieri il presidente serbo Boris Tadic ha consegnato diverse onoreficenze a persone e istituzioni considerate particolarmente meritevoli. Insieme al tennista Novak Djokovic, ambasciatore della Serbia nel mondo, è stata premiata una persona molto meno nota, ma sicuramente altrettanto degna. Si tratta di Srdjan Aleksic, serbo di Trebinje, ammazzato di botte nel 1993 da quattro militari della Repubblica Serba di Bosnia, colpevole di aver difeso un amico musulmano.
Meglio tardi che mai, si direbbe, ma c'è un particolare che va segnalato. Nella motivazione ufficiale della premiazione si omette una cosa, ovvero chi abbia ammazzato Aleksic: si parla di un generico gruppo di violenti, senza specificare che i violenti erano quattro militari che stavano controllando i documenti a dei cittadini presenti in un mercato.

La storia di Srdjan non è molto nota, ma nell'ultimo periodo sta piano piano emergendo, insieme a quella di tanti piccoli eroi che durante la guerra in ex-Jugoslavia hanno deciso di "restare umani" anche a costo della vita.
Abbiamo voluto contribuire anche noi alla memoria di Srdjan, raccontando con i disegni di Gabriele Gamberini la sua storia in un fumetto.

Qui un'anteprima:

P.S. grazie a Luka di Osservatorio Balcani Caucaso per la segnalazione.

lunedì 13 febbraio 2012

L'estate sta iniziando...



Quanti di voi in questi giorni di gelo inclemente (che hanno colpito anche i Balcani) hanno pensato a un'estate calda e a un mare cristallino?

Se state pianificando le vostre vacanze basandovi su questo presupposto non posso che consigliarvi di raggiungere la spiaggia che vedete in questa foto. È in Montenegro, a un chilometro a sud del villaggio di Sveti Stefan.

Certo i prezzi non sono quelli tipici dei Balcani, ma proprio lì vicino c'è un campeggio (ottimo, se confrontato con altri campeggi della zona) dove trovare un po' di pace: è una delle poche strisce di terreno montenegrino che si difende dall'assalto del cemento. Conviene farci un salto, prima che sia troppo tardi.

venerdì 10 febbraio 2012

La Giornata del ricordo

Sergio Endrigo è nato a Pola, in Istria, nel 1933. Nel 1947 emigra in Italia per le vicende connesse all'esodo Istro-Giuliano-Dalmata. Che Endrigo sia istriano di nascita non lo sa quasi nessuno, eppure racconta la sua storia in una canzone (a dire la verità altrettanto sconosciuta), intitolata "1947". Oggi è il Giorno del ricordo di quell'esodo, e delle foibe: mi sembra il giorno giusto per ascoltare quella canzone. Perché ci restituisce quelle vicende in maniera reale, nella dimensione di un dramma umano e non con il filtro di una ricostruzione storica strumentale.

Istituito nel 2004 dall'allora Governo Berlusconi, il Giorno del ricordo ha sempre destato la diffidenza di alcuni storici. Non certo perché si voglia omettere una parte drammatica della storia italiana, ma perché raccontare le vicende dell'Istria e della Dalmazia limitandosi a parlare di esodo e foibe è un tentativo, secondo l'abusata litania degli "italiani brava gente", di incanalare la violenza secondo criteri etnici. I bravi italiani da una parte e gli slavi cattivi dall'altra. Il che è come commentare una partita di calcio raccontando solo quanto avviene in una delle due metà campo. Spesso, quando si viene tacciati di anti-italianismo, la verità è l'opposto. Chi vuole raccontare le foibe inserendole nel contesto in cui si sono sviluppate vuole far crescere la moralità del proprio Paese: perché se è vero che è giusto ricordare le proprie vittime è ancora più necessario ricordare i propri errori. Almeno, se c'è un insegnamento che i miei studi universitari in Storia mi hanno dato mi sembra questo.

Se il Giorno del ricordo diventerà dunque anche questo, e oltre le foibe in futuro ricorderà davvero (come già ora dice la legge) la più complessa vicenda del nostro confine orientale, allora la canzone di Sergio Endrigo, che narra di un dramma umano e non etnico, forse verrà postata un po' di più sulle nostre bacheche Facebook, rendendo giustizia alle vittime di qualsiasi etnia.

Io, intanto, ci provo da subito:

giovedì 9 febbraio 2012

Qualcosa di buono sul fronte orientale

Ci sono storie che sembrano fatte apposta per scriverci un romanzo. Questa è una di quelle. Nel 2010 la Bosnia decide di ringiovanire il proprio esercito e manda in pensione chi ha più di 35 anni di servizio. Solo che la crisi politica che ha portato la Bosnia a un interminabile periodo senza governo ha fatto sì che non ci fossero i soldi nemmeno per le pensioni degli ex-militari. E così la federazione croato-musulmana stanzia un fondo per i propri militari, mentre quelli serbi rimangono a bocca asciutta.
È stato così che i veterani croati e i musulmani, che di certo non se la passavano bene, hanno deciso fare una buona vecchia colletta per gli ex-nemici, arrivando a raccogliere 5.000 euro. 500 sono andati a Slavko Rašević, che non aveva nemmeno i soldi per mandare la figlia a scuola, gli altri sono stati divisi in quote da 50 o 60 euro per i più bisognosi.

E così, dopo essersi sparati, i veterani della guerra di Bosnia oggi si ritrovano tutti insieme a protestare contro i loro politici, e contro il loro immobilismo.

lunedì 6 febbraio 2012

Ciò che sembra, non sempre è

Nel sentire comune, l'immagine dei Balcani è così legata alle guerre degli anni '90 da farli sembrare un luogo dove l'odio etnico cova dietro ogni angolo. Eppure non è così. Si prenda la Voivodina, la regione che sta a nord della Serbia. In questa pianura, con un'altissima densità di corsi d'acqua, vivono in pace oltre 20 etnie. La principali sono quella serba (65%) e quella ungherese (15%), ma in Voivodina vivono anche slovacchi, croati, rom, rumeni... Le lingue ufficiali sono sei, e come mostra la foto, i nomi delle istituzioni e le indicazioni stradali sono spesso espressi in più lingue. Se non ne avete mai sentito parlare forse è proprio perché qui le popolazioni da lungo tempo vivono in pace (le ultimi migrazioni per ragioni etniche risalgono a dopo la Prima Guerra Mondiale, quando i popoli tedeschi abbandonarono queste zone dopo la sconfitta nella guerra).

Eppure nonostante questo la Voivodina è una delle regioni storiche della Serbia: provincia indipendente dal 1974 è oggi fra le zone più dinamiche di questo Stato, grazie soprattutto alla vivacità della sua capitale, Novi Sad, a lungo bombardata dalla Nato, che sta rivivendo ora una nuova vita.

Ah, e a rendere questa provincia ancora più multiculturale ci pensa la sua conformazione: la Voivodina è divisa infatti in tre regioni: Syrmia, Banato e Bačka. Ognuna di queste regioni ha una propaggine in un altro stato: e così esiste una Syrmia croata, un Banato rumeno e una Bačka ungherese.

giovedì 2 febbraio 2012

Egitto e Bosnia: quando lo sport nasconde ben altro

Sui giornali di oggi tiene banco la notizia delle ferali violenze che dopo una partita di calcio hanno portato alla morte di oltre 70 persone. C'è qualcuno che però sospetta ci sia qualcos'altro, dietro questi fatti: nella fattispecie, punire gli ultrà dell'Ahly, rei di essere stati fra i protagonisti di Piazza Tahrir. Purtroppo, però, tutto il Mondo è Paese. Una cosa simile infatti è successa qualche mese fa nel derby di Mostar, quando gli ultrà dello Zrinjski, una delle due squadre della città, invasero il campo per punire i giocatori avversari.
Il caso egiziano e quello di Mostar ci insegnano come anche oggi lo sport possa essere utilizzato per ottenere i propri fini: punire chi ha combattuto contro Mubarak in un caso, chi è di un'altra religione in un altro. Bisogna stare all'erta.

P.S. Documenteremo l'episodio di Mostar con i fumetti di Gabriele Gamberini. Eccovi giusto un assaggio.


mercoledì 1 febbraio 2012

"La SCINTILLA che fece scoppiare la Prima Guerra Mondiale"

Quante volte avete letto o sentito questa frase? È il modo che si usa a scuola per spiegare l'attentato con cui Gavrilo Princip uccise l'erede al trono d'Austria Francesco Ferdinando, dando così il via alla Prima Guerra Mondiale. Una scena talmente mitizzata da sembrare più una leggenda che un fatto storico. Eppure accadde realmente, e la foto qui a fianco ritrae esattamente il posto da dove Gavrilo sparò: il Ponte Latino. Se quel fatto non avesse creato così tanti disastri, però, sarebbe da riderci sopra. Più che un attentato sembravano... le comiche!
Gavrilo non era solo quel giorno: con lui c'erano altri membri della Giovane Bosnia. Il primo di questi sbagliò mira con una bomba, facendo scappare l'Arciduca che si stava dirigendo verso la biblioteca. Il piano sembrava andato in fumo, ma al ritorno del sovrano Gavrilo incontrò per puro caso il corteo imperiale: tentò ancora una volta di uccidere l'Arciduca, ma sbagliò e uccise la moglie. Solo con il secondo colpo riuscì nei suoi intenti, e sapendo a quale fine sarebbe andato incontro cercò di uccidersi con l'arsenico, che però era scaduto e non sortì alcun effetto. Così tentò il suicidio buttandosi nel fiume Miljacka, ma dato che l'acqua arrivava a mala pena alle caviglie non riuscì proprio ad annegarsi. Infine, fu catturato e imprigionato. Morì di tubercolosi 4 anni dopo nel carcere di Terezin.

Ah, ricordatevi: se anche il fatto è avvenuto a Sarajevo, Gavrilo era un serbo, che insieme alla Mano Nera combatteva contro il dominio austrungarico della Bosnia. Come a dire: a volte le cose sono un po' più complesse di quanto sembrerebbe. In ogni caso, se volete mantenere un tenore più leggero, poco distante dal ponte c'è la Sarkejevska Pivara, il birrificio cittadino. Ve lo consiglio.


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lunedì 30 gennaio 2012

Dalla EX alla POST Jugoslavia

Ricordo che quando avevo una decina d'anni e stavo spensieratamente guardando qualche programma TV per bambini (penso si trattasse di Big!) in attesa dei cartoni animati, d'improvviso la conduttrice lesse una lettera di una bambina che viveva da qualche parte nell'ex Jugoslavia (nelle mia ricostruzione potrebbe essere l'Istria). La bambina spiegava a noi bambini italiani che per lei la guerra era qualcosa di lontano, che lei se ne andava tranquillamente tutti i giorni al mare, che la sua vita procedeva come se nulla fosse, e che tutte le scene di guerra dei telegiornali erano distanti da lei quanto da noi.

Forse fu quella la prima volta che mi venne voglia di scoprire l'ex Jugoslavia. Ma la vedevo ancora come qualcosa di arcaico, remoto: pensavo a Trieste come le colonne d'Ercole, m'immaginavo che da lì il treno dovesse per forza tornare indietro, perché oltre non c'era nulla. Poi, crescendo, ho imparato a leggere le cartine geografiche e, a sorpresa, capii quanto quei posti ci fossero vicini. Sono le guerre filtrate dalla TV, invece, a sembrarci sempre così distanti. Per questo ho cominciato a viaggiare su e giù per i balcani, per prendere le misure da solo, diciamo.

Dalle esperienze vissute in migliaia di kilometri percorsi nascerà anche un libro, che vuole presentare in maniera un po' diversa dal solito l'ex Jugoslavia, per invitare i giovani a scoprire meglio quelli che in fondo sono i nostri vicini di casa. Sarà una sorta di esperimento, che ha visto fra i complici amici di vecchia data (come Piero il rugbysta, prezioso alle foto) e nuovi arrivati (come Gabriele Gamberini, disegnatore emiliano che ha scelto di vivere a Sarajevo). Proveremo a tenere insieme storie e interviste raccolte sul campo, foto, disegni e fumetti. Il tutto in perfetto stile balcanico: un po' scanzonato, ma non troppo. Ah, il cappello con la stella rossa: l'ho comprato in una bancherella vicino a Medjugorje accanto ai santini della Madonna...