venerdì 27 aprile 2012
Yugoland su Pinterest
Il fatto che le storie si possano raccontare anche per immagini è un po' il concetto alla base dello YUGOLAND-libro (del quale riparleremo a breve). Un concetto alla base anche dell'intero progetto editoriale di BeccoGiallo, che la forza delle immagini la usa da sempre per approfondire e ricordare cose che non dovrebbero essere messe da parte. Proprio per questo non potevamo trascurare la nuova sensazione in campo social, quel Pinterest che proprio sulle immagini basa il suo successo. O meglio, potevamo trascurarlo, ma gli ordini dall'alto non si discutono... Scherzi a parte, l'esperienza è a dir poco stimolante, e posso affrontarla per una volta in compagnia. La board YUGOLAND è infatti aperta ai contributi di chiunque voglia condividere le sue Yugo-esperienze in questo modo un po' particolare. Non male, questo Pinterest!
martedì 24 aprile 2012
Un caso di Resistenza? il Feral Tribune
Si sa: le brutte storie acquisiscono spesso più fama di quelle positive. E così è stato anche per la guerra in Jugoslavia. Anche se non tutti si sono schierati subito dalla parte dei nazionalismi di diversa matrice. Uno degli esempi resistenti più virtuosi è sicuramente il Feral Tribune, giornale croato nato negli anni Ottanta nell'ambiente universitario spalatino per sbeffeggiare il Potere e chiedere maggiore libertà, e diventato con il tempo la principale voce indipendente di tutta la Croazia. Nato come giornale satirico, durante la guerra il Feral Tribune, con i suoi inviati al fronte sempre più numerosi, è diventato giorno dopo giorno più stimato e autorevole, puntando sulla cronaca e raccontando le violenze della guerra indipendentemente dall'etnia dei responsabili.
Questa indipendenza è costata cara al Feral Tribune: nel 2008, nonostante vendesse attorno alle quattordicimila copie (un'ottima tiratura per un paese piccolo come la Croazia), per il giornale fu di fatto impossibile attingere alla pubblicità a causa dell'ostracismo che il mondo politico croato cominciò a creare attorno alla testata. Fu così costretto a chiudere, nonostante godesse ancora di ottima salute, come mi ha raccontato uno dei suoi fondatori, Predrag Lucić, al tavolo di bar di Spalato.
Questa indipendenza è costata cara al Feral Tribune: nel 2008, nonostante vendesse attorno alle quattordicimila copie (un'ottima tiratura per un paese piccolo come la Croazia), per il giornale fu di fatto impossibile attingere alla pubblicità a causa dell'ostracismo che il mondo politico croato cominciò a creare attorno alla testata. Fu così costretto a chiudere, nonostante godesse ancora di ottima salute, come mi ha raccontato uno dei suoi fondatori, Predrag Lucić, al tavolo di bar di Spalato.
venerdì 13 aprile 2012
Scrivilo tu, no?
Dovevo averli proprio stressati tanto, quelli che poi sarebbero diventati i miei editori. Eravamo soliti vederci all'ora dell'aperitivo, a Padova, in quella che è tuttora la loro principale attività di svago: scoprire vini nuovi, di enoteca in enoteca. Intendiamoci: loro la prendono come una cosa seria, quasi un secondo mestiere, mentre io continuavo a distrarli con la storia che in occasione dei vent'anni dall'inizio della guerra che avrebbe portato alla disgregazione della Jugoslavia avrebbero dovuto pensare a un libro che parlava dei nostri vicini di casa. Nei Balcani c'ero già stato e avevo già scoperto qualcosa, ma non ero un esperto. Sta di fatto che - probabilmente per farmi stare buono e gustarsi qualche nuovo vino non filtrato dai colori improbabili - mi dissero: "Scrivilo tu, no? E parti in bicicletta, se puoi, che la cosa così si fa un po' più interessante."
La prima proposta, che era già abbastanza folle, la accettai. La seconda venne declinata: era gennaio, e affrontare i Balcani innevati in bicicletta forse era un po' esagerato.
Poi un giorno partii sul serio. Tirammo dentro al progetto il disegnatore Gabriele Gamberini, già autore per BeccoGiallo nel progetto Dossier G8 - la scuola Diaz, e ormai "cittadino" di Sarajevo. Poi il progetto rallentò inesorabilmente: lavoravo pur sempre per Legambiente, e il referendum contro il nucleare compromise la mia attività di pseudo-scrittore. Ma il ritardo era giustificato, e - vista la causa - l'editore non solo comprendeva, ma soffiava nelle vele che avrebbero portato i sì a trionfare con una nuova edizione di "Chernobyl, di cosa sono fatte le nuvole", presentandolo (spesso con il sottoscritto) a ogni occasione buona.
Oggi, dopo più di un anno, il lavoro è quasi finito. Se sarà un buon lavoro lo giudicherete voi (che i disegni mi sembrano bellissimi ve lo posso dire fin da subito, visto che non sono opera mia). Io vi posso dire che ho scoperto luoghi fantastici e personaggi notevoli, ottime grappe, cibi sfiziosi e qualche vino curioso (naturalmente troppo pochi, secondo l'editore) e soprattutto una storia decisamente diversa da quella che ufficiale.
Spero di essere riuscito a raccontarvi tutto nel migliore dei modi, e senza annoiarvi troppo!
La prima proposta, che era già abbastanza folle, la accettai. La seconda venne declinata: era gennaio, e affrontare i Balcani innevati in bicicletta forse era un po' esagerato.
Poi un giorno partii sul serio. Tirammo dentro al progetto il disegnatore Gabriele Gamberini, già autore per BeccoGiallo nel progetto Dossier G8 - la scuola Diaz, e ormai "cittadino" di Sarajevo. Poi il progetto rallentò inesorabilmente: lavoravo pur sempre per Legambiente, e il referendum contro il nucleare compromise la mia attività di pseudo-scrittore. Ma il ritardo era giustificato, e - vista la causa - l'editore non solo comprendeva, ma soffiava nelle vele che avrebbero portato i sì a trionfare con una nuova edizione di "Chernobyl, di cosa sono fatte le nuvole", presentandolo (spesso con il sottoscritto) a ogni occasione buona.
Oggi, dopo più di un anno, il lavoro è quasi finito. Se sarà un buon lavoro lo giudicherete voi (che i disegni mi sembrano bellissimi ve lo posso dire fin da subito, visto che non sono opera mia). Io vi posso dire che ho scoperto luoghi fantastici e personaggi notevoli, ottime grappe, cibi sfiziosi e qualche vino curioso (naturalmente troppo pochi, secondo l'editore) e soprattutto una storia decisamente diversa da quella che ufficiale.
Spero di essere riuscito a raccontarvi tutto nel migliore dei modi, e senza annoiarvi troppo!
giovedì 5 aprile 2012
Per un pugno di carne (in scatola): 20 anni fa, a Sarajevo
L'assedio di Sarajevo cominciava vent'anni fa, fra il silenzio del Mondo e dell'Europa. Questo silenzio se lo ricordano bene i cittadini di Sarajevo: oggi è condensato in un monumento, una scultura di poco più di due metri nascosta in una piccola piazza dietro al museo della guerra. Rappresenta una scatola di cibo, come quelle inviate dal Mondo ai cittadini assediati, sotto la rassicurante definizione di "aiuti umanitari". Sulla base una firma, pregna di sarcasmo: "La riconoscente cittadinanza di Sarajevo." Come a dire: grazie per tutto quelle che non avete fatto, grazie per non aver difeso una città patrimonio del mondo, grazie per aver chiuso gli occhi quando le certezze di un secolo crollavano insieme alla Jugoslavia.
Di tutto questo la guerra in Bosnia ne è simbolo. Ed è ancora di più l'assedio di Sarajevo: 1.425 interminabili giorni. Terra della convivenza multireligiosa prima, e poi emblema dell'odio etnico, assediata dai serbi ma che vantava il generale serbo Jovan Divjak come primo fra i suoi difensori, laica e capitale dell'Islam. La città che in dieci anni è stata sempre al centro della scena: prima per le olimpiadi invernali, poi perché da quelle stesse montagne i cecchini sparavano ai cittadini inermi. E mentre la Biblioteca Nazionale Bosniaca bruciava, deliberatamente colpita dall'odio etnico, le democrazie di tutto il mondo manifestavano la loro impotenza.
La Germania e il Vaticano, solerte nel sostegno alle terre cattoliche di Slovenia e Croazia. La Francia, che oltre a una passeggiata del Presidente Mitterand nel centro di Sarajevo non fu capace di altro. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, capaci di esportare la democrazia negli angoli più remoti del pianeta ma inerte quando si trattava di difenderla a due passi da casa. L'Olanda, mentre il suo esercito guardava distratto quello che succedeva a Srebrenica sancendo l'impossibilità delle Nazioni Uniti di fare quello per cui erano nate, ovvero "salvare le future generazioni dal flagello della guerra".
La guerra ci fu. E fa strano che oggi a criticarla siano proprio quelli che l'hanno combattuta. In questi giorni, infatti, ex soldati serbi, bosgnacchi e croati si sono ritrovati tutti assieme, ormai alleati, a protestare di fronte al Parlamento bosniaco per chiedere il diritto alla pensione. Nella loro protesta si legge l'amarezza di chi, vent'anni dopo, ha scoperto di essere stato ingannato da coloro che, nascondendosi dietro la bandiera del nazionalismo, non hanno fatto altro che conquistarsi frammenti di potere a discapito della gente comune. Croati, serbi o musulmani.
La Germania e il Vaticano, solerte nel sostegno alle terre cattoliche di Slovenia e Croazia. La Francia, che oltre a una passeggiata del Presidente Mitterand nel centro di Sarajevo non fu capace di altro. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, capaci di esportare la democrazia negli angoli più remoti del pianeta ma inerte quando si trattava di difenderla a due passi da casa. L'Olanda, mentre il suo esercito guardava distratto quello che succedeva a Srebrenica sancendo l'impossibilità delle Nazioni Uniti di fare quello per cui erano nate, ovvero "salvare le future generazioni dal flagello della guerra".
La guerra ci fu. E fa strano che oggi a criticarla siano proprio quelli che l'hanno combattuta. In questi giorni, infatti, ex soldati serbi, bosgnacchi e croati si sono ritrovati tutti assieme, ormai alleati, a protestare di fronte al Parlamento bosniaco per chiedere il diritto alla pensione. Nella loro protesta si legge l'amarezza di chi, vent'anni dopo, ha scoperto di essere stato ingannato da coloro che, nascondendosi dietro la bandiera del nazionalismo, non hanno fatto altro che conquistarsi frammenti di potere a discapito della gente comune. Croati, serbi o musulmani.
martedì 3 aprile 2012
L'Istria è (anche) terra di Vino
L'Istria non è famosa solo per le belle coste e le colline dell'entroterra, ma anche per il buon vino. Senza dubbio il più noto dei vini istriani è la Malvasia, da servire a mio parere fresca con un piatto di pesce possibilmente appena pescato. Ma piano piano stanno salendo (risalendo?) alla ribalta anche altri vitigni tipici di questa penisola: come il Refosco (in foto vinificato rosé), il Moscato e il Terrano, che come dice il nome affonda le sue radici nella cultura contadina locale. Ma a farsi spazio (anche qui) sono vini a vocazione più "internazionale", come Cabernet e Syrah. I prezzi tendenzialmente più bassi dei vini italiani nonostante una buona qualità permettono ai viticoltori istriani di trovare sbocchi di mercato in Austria e Germani, oltre ovviamente a soddisfare il consumo locale, che si impenna in estate con l'arrivo in massa di turisti da tutta Europa.
Se siete curiosi di scoprire al meglio le qualità enologiche dell'Istria prossimamente ci saranno due eventi che fanno al caso vostro: la degustazione di vini dell'Istria centrale a Gracisce e la fiera di vini "Vinistra", ormai di richiamo internazionale, che si svolge a Parenzo dal 11 al 13 maggio. Insomma, cosa aspettate? Io ci sarò di sicuro!
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