mercoledì 30 gennaio 2013

Il rugby e la questione irlandese



Era il 30 gennaio 1972 quando a Derry, in Irlanda del nord i paracadutisti inglesi spararono su una folla inerme che stava protestando per i diritti civili uccidendo 14 persone e ferendone altre 12. Il vergognoso atto dell'esercito inglese venne reso celebre dagli U2, che raccontano i terribili fatti di quella giornata nella loro famosa Canzone Bloody Sunday.

I disordini che colpirono l'Irlanda nelle settimane seguenti ebbero ovviamente strascichi anche sullo sport e in particolare sul rugby. L'allora Torneo delle 5 Nazioni non venne concluso perché Galles e Scozia si rifiutarono di giocare nel clima di tensione che regnava a Dublino in quei mesi. Fu così che il torneo del 1972 non venne completato: si tratta dell'unico caso a partire dal 1947 ad oggi.

Fu così che la seconda Bloody Sunday andò a incrociarsi con un evento sportivo. Seconda perché nella questione irlandese esiste un'altra Bloody Sunday, meno nota, risalente al 1920, in cui sport e politica si intrecciano ancora di più. Era infatti il 21 novembre 1920 quando l'esercito inglese fece irruzione nello stadio Croke Park di Dublino mentre si stava svolgendo una partita di calcio gaelico e uccise, sempre sparando sulla folla, 12 persone (più due uccise dalla calca delle persone in fuga) per rappresaglia dell'uccisione di 19 agenti segreti inglesi.

Gli inglesi profanarono così anche simbolicamente Croke Park, che essendo uno stadio pensato per gli sport di origine irlandese era interdetto agli sport britannici come il calcio e il rugby.
Fu solo nel 2007 che per la prima volta uno sport di origine inglese venne giocato a Croke park. Si trattava di una partita di rugby del 6 Nazioni: in quel momento la casa del rugby irlandese, Lansdowne Road era in ristrutturazione (dopo la quale perse il suo antico nome prendendo quello sponsor e divenne l'Aviva Stadium) e la federazione di sport gaelici acconsentì a questo storico evento.

Particolarmente significativa fu la partita fra Inghilterra e Irlanda, quando tutto lo stadio cantò l'inno dell'Irlanda unita. Perché nel rugby, Irlanda del Nord ed Eire giocano insieme. Ed hanno anche un loro inno, scritto appositamente nel 1995: Ireland's Call.

venerdì 30 novembre 2012

Solo da imparare


The spirit of rugby è un premio che ogni anno l'IRB, la federazione mondiale del rugby assegna a chi è riuscito a interpretare al meglio i valori di questo sport. Nel 2009 il premio andò a L'Aquila rugby, per la tenacia con cui la squadra abruzzese aiutò la città colpita dal terremoto. Città che peraltro vanta una tradizione non indifferente: un capitolo di Rugbyland sarà dedicato al mio incontro con le vecchie glorie dell'Aquila, che fra gli anni '70 e  '80 dominarono il campionato italiano.

Tornando al premio, la notizia è che federazione quest'anno ha deciso di assegnarlo a una donna. Il suo nome è Lindsay Hilton. Ed è nata senza gambe né braccia. Ma per le compagne è solo il mediano di mischia.

venerdì 16 novembre 2012

Un nuovo viaggio... dentro la palla ovale!

Domani l'Italia del rugby affronterà, in uno stadio Olimpico tutto esaurito, gli All Blacks, i maestri di questo sport. Uno sport ricco di valori, che ancora oggi è preso come esempio di correttezza, di lealtà, di unione.
Uno sport che può essere preso come modello educativo per i più giovani, ma non solo. Uno sport che però, a parte alcune storiche roccaforti, non è esploso in Italia come meriterebbe.

Se la Nazionale è arrivata alla ribalta delle cronache, è ancora sconosciuto invece tutto il sottobosco, tutti quei campi di provincia dove fra fango, freddo, nebbia (e tante botte) scorre la linfa vitale del rugby italiano.

Dopo Yugoland, viaggio alla scoperta dei Balcani, con BeccoGiallo ci siamo detti "Perchè non un altro viaggio, per scoprire questo affascinante sport?"

Sta così nascendo "Rugbyland, viaggio per l'Italia del rugby". Un percorso che vuole scoprire chi in passato ha reso celebre questo sport e chi oggi ne difende i valori.

Rugbyland, esattamente come Yugoland, è un viaggio, attraverso le città e i paesi dove questo sport è cresciuto, condito con interviste dei protagonisti del rugby italiano e gli immancabili fumetti di Gabriele Gamberini.

Vista l'occasione vi sveliamo le prime tavole in anteprima. Vi siete mai chiesti come il rugby sia arrivato in Italia?



giovedì 15 novembre 2012

Non lascio e raddoppio

Ultimamente ho aggiornato il blog un po' meno del solito. In parte è colpa delle non poche presentazioni di Yugoland, che mi hanno portato un po' ovunque in giro per l'Italia (prossimo appuntamento: mercoledì 21, a Lodi, con Luka Zanoni, direttore dell'Osservatorio Balcani Caucaso). La cosa è bella, naturalmente, perché significa che il libro è piaciuto. E poco male per il blog: per fortuna ci sono diverse persone sul web italiano che pubblicano con competenza notizie relative ai Balcani.

Però mi dispiaceva concludere l'esperienza del blog, e quindi, anche se qui si continuerà a parlare di ex Jugoslavia e vi aggiornerò sulle mie future peregrinazioni balcaniche, Yugoland diventerà un blog un più personale, che tratterà argomenti diversi.

Fra le varie cose - visto il successo di Yugoland! - lo userò come foglio degli appunti a cielo aperto per il mio nuovo lavoro, che ormai sto portando avanti con BeccoGiallo da un paio di mesi. Speriamo porti fortuna.

P.S. Di cosa si tratta? Pazientate ancora qualche ora e lo scoprirete. Intanto, volete tirare a indovinare?

mercoledì 3 ottobre 2012

Bosniaci e Bosgnacchi

Con colpevole ritardo torno a pubblicare dopo le presentazioni che in settembre mi hanno portato in giro per il nord Italia. E proprio da qui voglio partire. Mi sono infatti reso conto che spesso do per scontate cose che per i non addetti ai lavori non lo sono. Ho pensato che quindi è opportuno spiegare meglio alcune cose per rendere il mondo dei Balcani un po' più semplice da affrontare.
Parto quindi da una delle cose più complicate... la composizione etnica della Bosnia Erzegovina.

Prima cosa da sapere: la Bosnia è un paese abitato da diverse etnie, ma le principali sono tre: i serbi, che dopo la guerra vivono principalmente nella Republika Srpska (entità serba della Bosnia Erzegovina), i croati, che stanno prevalentemente nella regione dell'Erzegovina e infine i bosgnacchi. Spesso chiamiamo erroneamente bosniaci i bosgnacchi, ma con bosniaci si intende tutta la popolazione della Bosnia Erzegovina, con bosgnacco la popolazione bosniaca di religione islamica. I bosgnacchi quindi sono musulmani, ma non Musulmani. Con la maiuscola infatti si intende la nazionalità Musulmana, nazione fondante la Repubblica federale Jugoslava. E qui si aprirebbe un altro capitolo. Perché essere di nazionalità Musulmana (con la maiuscola) era differente da essere di religione musulmana. La nazionalità Musulmana era infatti stata creata e accettata da Tito fra gli anni '60 e '70 ed inserita nella costituzione jugoslava. Non era però riconosciuto il nome bosgnacco in quanto questo termine riconduce per forze a una caratteristica di tipo religioso.

giovedì 2 agosto 2012

Vado a Yugoland


No, non è uno scherzo: Yugoland esiste davvero. È un parco di divertimenti (anche se sarebbe meglio chiamarlo una "Jugoslavia in miniatura") che sta nel nord della Serbia, vicino a Subotica. Il portale Balkan Insight ci racconta che il Yugoland è in procinto di chiudere per via dei debiti accumulati dal suo proprietario. Insomma, se non avete programmato nulla per questa estate, perché non fare un salto a scoprire questo luogo prima che la jugonostalgia arruoli fra i suoi miti anche il parco Yugoland. Potreste cogliere l'occasione di visitare i monasteri di Fruska Gora, oppure, allungando un po', di sconfinare in Ungheria per ammirare il lago Balaton.

Per quanto mi riguarda anch'io sto partendo alla volta dei Balcani non jugoslavi... latiterò quindi un po' dal blog, ma mi farò perdonare al ritorno con un bel resoconto. Nel frattempo, se proprio non potete resistere, probabilmente mi lascerò andare a qualche anticipazione su Twitter

venerdì 27 luglio 2012

Breve introduzione allo scartamento bosniaco

Capita che ogni tanto qualche lettore mi scriva. La cosa mi fa un enorme piacere: oltre al confronto su questo o quell'aspetto del libro, la cosa più interessante è capire in che modo queste persone siano legate all'ex-Jugoslavia.

Che ci siano di mezzo parenti, amici, semplice e istintiva curiosità o interessi veramente specifici, le storie che mi vengono raccontate riescono sempre a colpirmi. Non ho parlato di "interessi specifici" per caso. Ho deciso infatti, in accordo con il mittente, di pubblicare un brano di una di queste mail. Davide mi parla del libro, certo, ma nel farlo mi svela anche una sua grande passione, e mi racconta cose che non sapevo, e che mi incuriosiscono, sulle ferrovie jugoslave:

[...] chi vi scrive, è stato sempre un grande appassionato di Jugoslavia; ho infatti condiviso con emozione quasi ogni riga delle vostre interviste e dei vostri resoconti che mi hanno fatto ripensare ai miei innumerevoli viaggi in queste terre che ho fatto e che spero di fare ancora. Essendo appassionato di ferrovie balcaniche volevo però farvi notare alcune cose nella speranza che possano essere corrette o aggiunte in eventuali altre ristampe del libro, oppure che siano da stimolo per osservare altri "jugo - elementi" durante le vostre prossime peregrinazioni.
A pag. 188 citate la vostra visita a Mokra Gora e dedicate due righe alla "...piccola ferrovia che passa di qui". Ebbene mi sa che in quella località avete "bucato" l'attrazione più importante e cioè non il finto "etnoparco" di Kusturica ma proprio la ferrovia stessa. I turisti stranieri ci sono, eccome, e vengono ogni anno a migliaia da mezzo mondo ma a visitare proprio la ferrovia! Quest'ultima non era una linea di importanza locale ma l'importantissima Belgrado - Sarajevo: costruita a scartamento ridotto di 760mm (conosciuto proprio come scartamento bosniaco!), per superare le montagne della zona venne realizzato un percorso molto ardito e complesso (il famoso 8 di Šargan). La linea in questione faceva parte di una fitta rete ferroviaria di circa 2000 km costruita in gran parte dall'Impero Austro-Ungarico e completata poi dal Regno e Repubblica di Jugoslavia che permetteva di viaggiare in treno senza cambi o interruzioni da Belgrado fino a Sarajevo per poi proseguire (lungo la valle della Neretva) verso la costa in direzione di Dubrovnik e Kotor. A proposito di Neretva, dovete sapere che proprio lungo questa valle il binario scendeva con un percorso mozzafiato oggi in parte sommerso dai bacini idroelettrici. Raramente ma periodicamente in seguito all'abbassamento delle acque per lavori di manutenzione ponti e gallerie riappaiono come spettri dal passato... Dopo la chiusura degli anni '70 la tratta di Mokra Gora è stata riaperta come ferrovia turistica per ricordare questa meravigliosa rete ferroviaria totalmente smantellata e gli uomini che vi hanno lavorato spesso in condizioni difficilissime. Ultimamente il binario è stato riportato fino a Višegrad ri-collegando la Bosnia con la Serbia. Aggiungo senza esagerare che la scomparsa della rete ferroviaria a scartamento ridotto in Jugoslavia tra la fine degli anni'60 e la seconda metà dei '70 rappresentò un colpo per le zone di Bosnia, Serbia e Croazia attraversate da questi binari. Le JŽ (Jugoslovenske Železnice) erano un'istituzione, la loro assenza in queste zone impoverì i territori una volta attraversati e contribuirono, nel loro piccolo, al disfacimento dell'unità nazionale in queste tormentate zone.
A pag 212 segnalo poi un errore: la ferrovia Parenzana da Trieste a Parenzo (sempre a scartamento ridotto bosniaco!) non attraversava la Val Rosandra. Quest'ultima spettacolare ferrovia (avete pubblicato una foto di una sua galleria nelle pagine 84-85) era a scartamento ordinario e collegava Trieste con Erpelle (oggi in Slovenia). Si trattava di due linee completamente diverse! Oggi sono entrambe piste ciclabili. Per sapere molto di più della storia della Bosnia - Erzegovina, attraverso le sue ferrovie, vi segnalo il bellissimo libro in lingua inglese dell'editore Stenvalls "The Narrow Gauge Railways of Bosnia - Hercegovina" di Keith Chester. Se poi passate per Trieste sarei lieto di farvi visitare il Museo Ferroviario di Trieste Campo Marzio, come detto attraverso la storia delle ferrovie è possibile capire meglio proprio un paese complesso come la Jugoslavia.

Ancora complimenti a tutti e cordiali saluti!
Davide Raseni


Non è finita qui, perché proseguendo la conversazione scopro ad esempio che...

Per la cronaca a Mokra Gora per costruire una galleria ferroviaria (poi franata) sembra siano morti, durante la Grande Guerra, un centinaio di prigionieri di guerra italiani, una notizia di cui non avevo mai sentito parlare...


Uno scambio prezioso, che non ho sentito di dover condividere. E nell'invitarvi a diventare parte della discussione utilizzando i commenti a questo post, non posso che ricordarvi anche che se avete qualcosa da raccontare sull'ex-Jugoslavia io sono qui. Sia privatamente che utilizzando, se vorrete, il blog come strumento per raggiungere più persone.

mercoledì 18 luglio 2012

Dopo il minitour...

Si è da poco concluso il mini tour di "Yugoland" nelle Marche e in Toscana, con le tappe di Perugia (Combo Art Café), Siena (Libreria LaZona) e Santa Croce sull'Arno, in provincia di Pisa (Libreria Colibrì).

Libreria Colibrì

Combo Art Cafè

Libreria LaZona
È stata una tre-giorni intensa, segnata dal gran caldo, da accoglienze entusiastiche (non ringrazierò mai abbastanza gli organizzatori per il loro calore e il loro interesse) e incontri professionali inattesi e interessanti, come quelli che mi hanno portato a un'infinita serie di interviste radiofoniche, spesso in situazioni a dir poco rocambolesche: come questa, ai margini di una superstrada trasformata in una discarica a cielo aperto...


Qui, invece, potete ascoltare forse l'intervista più significativa, quella con Federico Taddia a "L'altra Europa", programma molto seguito (e interessante in egual misura) di Radio24.

Io e Gabriele Gamberini (che per l'occasione ci ha regalato una splendida installazione semovibile della copertina del libro!) abbiamo potuto toccare con mano quanto l'interesse nei confronti dei Balcani sia ancora vivo e diffuso in tutta la penisola. Ma ci ha dato modo anche di confrontarci con persone che avevano già letto il libro, ed erano venute per discutere dal vivo su "tematiche balcaniche". Ne sono nati discorsi interessanti, sui contenuti del nostro lavoro e sullo strano mix di cui è composto. Forse è stata questa la cosa più piacevole: scoprire come l'esperimento di intersecare testo, fumetto, foto e disegni sia generalmente piaciuto parecchio.

E non è finita qui. A fine agosto, infatti, le presentazioni riprendono. Posso già anticiparvi una data a Fano il 31 agosto e una nel torinese il 14 settembre, oltre a un salto a Lodi in periodo da definire. Con la promessa, come al solito, di cercare di fornirvi tutti i dettagli per tempo.

mercoledì 11 luglio 2012

Il rischio di Srebrenica

Ogni anno in luglio sulle home page dei giornali e sulla bacheche di Facebook tutti si ricordano della Bosnia-Erzegovina e del drammatico eccidio di Srebrenica. Un doveroso esercizio di memoria: ricordare le migliaia di vittime innocenti massacrate nel luglio di 17 anni fa. Il più grave eccidio avvenuto su suolo europeo dopo la seconda guerra mondiale.

Ricordare: un gesto necessario. Ma che rischia di covare con sé dei rischi. La guerra in Jugoslavia è per l'Europa un grande rimosso. Parlare di Srebrenica non può diventare un modo di continuare a non parlare di tutto ciò che fu la guerra in ex Jugoslavia.

Troppo spesso infatti ci siano girati dall'altra parte. Lo abbiamo fatto a Vukovar. Durante l'operazione Tempesta. O con i Cancellati sloveni, che forse solo ora, dopo vent'anni, ottengono giustizia... Parlare di Srebrenica per non affrontare le proprie colpe non è un buon modo per evitare che in futuro riappaiano nuove Srebrenica.

martedì 26 giugno 2012

Tutto in 24 ore

Pausa di riflessione a Medjugorie.
Le date spesso sono simboliche. E per la storia della Jugoslavia lo sono ancora di più. È per questo che all'interno di "Yugoland, in viaggio per i Balcani" ho voluto intitolare il capitolo su Belgrado "Tutto in 24 ore". Fra le varie cose volevo evidenziare una certa simbologia nelle ricorrenze che hanno fatto nel bene e nel male la storia della Jugoslavia. Fra il 27 e il 28 giugno accadono infatti alcune cose che si trascinano dietro una inesauribile serie di conseguenze.

Il 27 giugno del 1991, ad esempio, è il giorno dell'inizio della guerra fra Serbia e Slovenia, ma è il 28 giugno il giorno cruciale. Tutto parte dal lontano 1389, quando l'esercito serbo venne sconfitto dall'esercito ottomano nella battaglia del Kosovo che permise ai turchi di conquistare i Balcani e amministrarli per ben cinque secoli. E siccome i serbi hanno vissuto questa battaglia non come una sconfitta, ma come un sacrificio, sono soliti celebrarla. Ed è proprio per questo motivo che il 28 giugno del 1914 Gavrilo Princip spara a Francesco Ferdinando. Doveva servire una data speciale come momento di riscatto. E la stessa cosa successe il 28 giugno del 1989, anche se con motivazioni politiche diverse, perché il nazionalismo come ideologia cambiò profondamente nel corso del '900. Fu il momento in cui Slobodan Milosevic divenne il leader del nazionalismo serbo. Era stato mandato in Kosovo per calmare la minoranza serba, in tensione con la popolazione albanese, proprio nel seicentesimo anniversario della battaglia del Kosovo. Suona quindi come una vendetta il fatto che Milosevic venga consegnato all'Onu il 28 giugno del 2001. Come a dire: chiudiamo i conti del passato?

Ma fine giugno è un periodo fitto di ricorrenze per la storia della Jugoslavia, non solo per quanto detto fin qui. Il 25 giugno del 1991, infatti, Croazia e Slovenia dichiarano la loro indipendenza. E il 25 giugno del 1981 in un paesino della Bosnia la Madonna apparve ad alcuni pastorelli. Quel paesino diventò famoso col passare del tempo: il suo nome era Medjugorie.